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IVA in fattura applicata per errore: come recuperare l'indebito e non commettere sbagli


Nel complesso mondo della fiscalità aziendale, l'errore è sempre dietro l'angolo. Può capitare di emettere una fattura applicando l'Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) in modo non dovuto, magari per una errata qualificazione dell'operazione o un fraintendimento sulla territorialità.

Quando l'errore viene rilevato, sia dall'azienda stessa che a seguito di un controllo, si pone immediatamente la domanda cruciale: come si recupera quell'IVA versata per sbaglio all'Erario?

La normativa italiana, in linea con i principi europei di neutralità fiscale, stabilisce regole precise per garantire che l'azienda non sia ingiustamente penalizzata, ma anche per proteggere l'Erario da doppi rimborsi. Vediamo i passaggi essenziali.

La regola base: il termine di due anni

Per il recupero dell'IVA versata e non dovuta, il punto di riferimento normativo è l'articolo 30-ter del Decreto IVA (D.P.R. 633/72).
La regola generale prevede che il soggetto passivo (cioè il fornitore che ha emesso la fattura) debba presentare la domanda di restituzione all'Agenzia delle Entrate entro il termine perentorio di due anni. Questo periodo decorre dal giorno del versamento dell'imposta stessa o, se posteriore, dal momento in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Superare questa soglia significa generalmente perdere il diritto al rimborso in via ordinaria.

La condizione essenziale: la prova della restituzione al cliente

Qui sta il punto focale su cui si concentrano le recenti precisazioni delle autorità fiscali.
Quando l'IVA non dovuta è stata oggetto di "rivalsa" (cioè è stata addebitata al cliente e quest'ultimo l'ha pagata), il fornitore ha la possibilità di ottenere il rimborso dall'Erario solo se dimostra di aver preventivamente restituito l'importo indebito al proprio cliente (cessionario o committente).
Questa condizione serve a evitare il cosiddetto "indebito arricchimento": non si può intascare due volte la somma, prima dal cliente e poi dallo Stato.

L'eccezione in caso di accertamento

Esiste una deroga al termine biennale ordinario. Se l'erronea applicazione dell'IVA è stata definitivamente accertata dall'Amministrazione finanziaria, il cedente o prestatore può presentare la domanda di restituzione entro due anni, ma questa volta il termine decorre dalla data in cui è avvenuta la restituzione dell'imposta al cessionario o committente. Questo meccanismo offre una finestra temporale più ampia in situazioni complesse definite da un'indagine fiscale.

Attenzione alla doppia azione

È fondamentale ricordare la netta distinzione tra i due rapporti che si creano con l'emissione della fattura:
  • Rapporto fiscale (Fornitore-Stato): Riguarda il versamento dell'imposta e la richiesta di rimborso.
  • Rapporto civilistico (Fornitore-Cliente): Riguarda la rivalsa e l'obbligo di restituire quanto pagato in eccesso.

In sintesi, solo il fornitore (soggetto passivo) può chiedere il rimborso allo Stato, ma non può farlo se prima non ha sistemato i conti con il cliente, restituendogli la somma indebitamente addebitata.
Per le aziende, la corretta gestione di queste procedure richiede massima attenzione ai termini e alla documentazione probatoria, in particolare la prova inequivocabile dell'avvenuta restituzione al cliente finale.

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