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Verso una nuova stagione normativa: quando il software detta il tempo delle scadenze

 


Negli ultimi mesi, si sta facendo largo tra gli addetti ai lavori una riflessione tanto semplice quanto rivoluzionaria: è ancora sostenibile legiferare su adempimenti digitali senza considerare i tempi di sviluppo dei software necessari a realizzarli?

Questa domanda, a lungo ignorata, sta ora guadagnando spazio anche nei palazzi istituzionali. Un recente intervento normativo in discussione in sede parlamentare introduce infatti un principio destinato a cambiare radicalmente il modo in cui vengono pensate e calendarizzate le scadenze per le imprese.

L’idea che mancava: il tempo del codice conta

L'innovazione consiste nel riconoscere formalmente i tempi tecnici dello sviluppo software come elemento da considerare nella definizione di obblighi amministrativi e fiscali. In pratica, ogni volta che una norma impone alle imprese l’uso di strumenti digitali – come moduli online, flussi telematici o interfacce interoperabili – le autorità dovrebbero tener conto non solo del tempo di utilizzo da parte degli utenti finali, ma anche del ciclo di vita del software stesso: dall’analisi alla progettazione, fino al test e alla distribuzione.

È un principio di buon senso, ma fino ad oggi assente nella logica normativa, con l’effetto collaterale di scadenze irrealistiche, aggiornamenti comunicati all’ultimo minuto e ritardi che ricadono su professionisti e operatori del settore, costretti a rincorrere modifiche spesso imprevedibili.

Cosa cambierebbe nella pratica

L’introduzione di questo nuovo approccio segnerebbe un passaggio importante verso una pubblica amministrazione più consapevole dell’ecosistema digitale in cui opera. Implicherebbe che schemi funzionali, specifiche tecniche e ambienti di test vengano resi disponibili con congruo anticipo, permettendo alle software house e agli intermediari fiscali di lavorare in modo pianificato e sostenibile.

Non si tratta solo di efficienza tecnica: è anche un tema di qualità dei dati, di rispetto per chi lavora nel settore e di certezza del diritto. Significa ridurre il ricorso a proroghe dell’ultimo minuto e aumentare la coerenza tra norme e strumenti.

Le ricadute: non solo fisco

Sebbene il settore fiscale sia storicamente il più colpito da questo tipo di criticità – con continui cambiamenti normativi a ridosso delle scadenze – le implicazioni sono trasversali. Pensiamo all’editoria digitale, al sistema dei rifiuti, alla sanità, alla giustizia telematica: in tutti questi ambiti, il software è l’infrastruttura invisibile che rende possibile l’adempimento delle norme.

Trattarlo come un “effetto collaterale” e non come un elemento strutturale ha portato a inefficienze sistemiche, ritardi e tensioni costanti tra tecnici, utenti e decisori pubblici.

Una trasformazione culturale prima che tecnica

Non siamo solo di fronte a una proposta normativa, ma a una possibile svolta culturale. Una Pubblica Amministrazione digitale non si realizza solo adottando strumenti informatici, ma anche ripensando il modo in cui si legifera in epoca digitale. Significa prendere coscienza che ogni obbligo digitale richiede tempo, risorse e preparazione. E che dietro ogni click c’è un lavoro che merita rispetto e ascolto.

Se questa impostazione dovesse essere recepita e tradotta in norma, potremmo davvero trovarci all’alba di un nuovo equilibrio tra legge, tecnologia e lavoro. Un equilibrio che potrebbe restituire fiducia agli operatori del settore e rendere più sostenibili i rapporti tra imprese e istituzioni.

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